metamorphosis

Montagne sacre


14.04.2023 | 20.05.2023
Galleria Artra, Milano
Una mostra a partire da La montagna sacra di Alejandro Jodorowsky curata da R. Borghi.



Nel 2023 ricorrono i cinquant’anni dall’uscita nelle sale di La montagna sacra di Alejandro Jodorowsky. Il film è ispirato a Il monte analogo, un romanzo d'avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche scritto da René Daumal alla fine degli anni Trenta e pubblicato per la prima volta nel 1952. La mostra, a cura di Roberto Borghi con la collaborazione di Cristina Malerba, è strutturata in due parti. Marco Brugnera, Daniela Jakrlova' Riva, Gregorio Vignola presentano opere in dialogo con la trama e i risvolti allegorici del libro Monte analogo. Debora Hirsch, Renato Jaime Morganti, Jaime Poblete espongono lavori in sintonia con l’universo simbolico di Jodorowsky per come si manifesta nella Montagna sacra.

invito vanna casati

Nel tempo sospeso


13.11.2021 | 10.01.2022
Studio Vanna Casati, Bergamo
ARTDATE Ed.XI.





TESTO ALTERNATIVO

Oggetti trovati nella mente. Mandala e movimenti virtuali di...


16.02.2021 | 22.03.2021
Galleria Monopoli Milano
a cura di R. Borghi in collaborazione con l’Archivio Attilio Alfieri



«Oggetti trovati nella mente» è la formula con cui Attilio Alfieri (Loreto, 16 febbraio 1904 - Milano, 22 aprile 1992) definisce un ciclo di opere di piccole e medie dimensioni create nella prima metà degli anni Trenta. In quei collage astratti di pellicole fotografiche – materiali con cui è spesso a contatto nel suo lavoro di grafico per la Triennale e la Fiera di Milano – scorge forme archetipiche che gli sembrano scaturite dall’inconscio, strutture dinamiche o «movimenti virtuali» che rimandano ai mandala e alle geometrie sacre. Gli anni di realizzazione dei collage sono quelli in cui in Italia cominciano a essere letti i testi di Jung, ma anche quelli nei quali il regime fascista finanzia le esplorazioni in Tibet dell’orientalista Giuseppe Tucci, a cui la stampa dà grande risalto. Sono poi gli anni nei quali la scena artistica italiana, e in particolare quella milanese, è tentata dall’astrattismo, risente degli echi del Bauhaus, è permeata di suggestioni surrealiste. Uomo spiritualmente inquieto, lettore onnivoro e artista pervaso da un bisogno quasi compulsivo di sperimentazione formale, Alfieri frequenta l’ambiente della Galleria del Milione e della Triennale, conosce Edoardo Persico, Giuseppe Pagano, Giuseppe Terragni – ai quali dedica dei Ritratti archetipici di matrice astratta –, dà inizio a un lungo percorso di attraversamento, e spesso di anticipazione, di molte avanguardie del secondo Novecento, che ha trovato un primo bilancio nell’ampia retrospettiva al Palazzo Reale di Milano del 1981. Nella mostra presso la Galleria Monopoli, i collage astratti degli anni Trenta sono esposti insieme con le opere di Valeria Manzi, Renato Jaime Morganti, Lucia Sammarco Pennetier: tre artisti contemporanei che, come Alfieri, ibridano la loro ricerca creativa con la grafica il design, e realizzano «movimenti virtuali» e forme primarie che richiamano quelle dei mandala.

Roberto Borghi

vasi

dal libro dei mutamenti

15.12.2018 | 28.02.2019
Studio Vanna Casati, Bergamo
a cura di R. Borghi e S. Castelli

Guarda a caso

Stando a un celebre verso di Mallarmé «un lancio di dadi non abolirà mai il caso». Il lancio di tre monete invece può dare al caso perlomeno un senso, ma a patto che si tratti delle monete utilizzate per la divinazione attraverso l’ I Ching o Libro dei mutamenti, un millenario testo cinese che ha conosciuto una vasta fortuna in Occidente a partire dai primi decenni del Novecento. Tradotto in francese già alla fine del Seicento, ma pubblicato in versione filologica solo nel 1924 con un’introduzione di Carl Gustav Jung (dettaglio significativo), ha rappresentato una magnifica ossessione per Herman Hesse, Jorge Luis Borges, Allen Gisberg, John Cage (che gli ha dedicato Music of Changes ), Bob Dylan, Walter De Maria ... e anche per Renato Jaime Morganti. Il procedimento attraverso il quale si attua la divinazione è abbastanza complesso ma, ai fini della comprensione di questa mostra, è sufficiente sapere che passa attraverso la traduzione in numero di ogni lato della moneta, e la trasposizione in una particolare tipologia di linea della cifra ottenuta sommando i valori numerici forniti dalle tre monete. Gli esagrammi (ovvero le composizioni di sei linee) creati dai lanci vengono poi interpretati alla luce dell’I Ching, un volume in cui si possono leggere oracoli composti da indizi poetici, tracce paradossali. Per esempio: «l’attesa. Se sei verace hai luce e riuscita. Perseveranza reca salute. Propizio è attraversare la grande acqua»; oppure mutando il significato degli esagrammi: «attendere fuori le mura. Propizio è rimanere nel durevole. Nessuna macchia» (5. Hsü – L’Attesa/il Nutrimento). Riepilogato così, cioè molto brutalmente, il Libro può anche sembrare vetusto e astruso, sino al punto da risultarne incomprensibile il fascino. In questo caso però non bisogna dimenticare che è dei Mutamenti, ovvero che l’argomento di cui tratta consiste non solo nel trovare un significato alla mobilità/instabilità/precarietà del reale, ma anche nel rendere mobile il significato, nel non chiuderlo in qualcosa di “fissato”, di stabilito una volta per tutte, perché questa chiusura, questo immobilismo, negherebbe la sua attinenza alla realtà, che è mutevole per antonomasia. Ogni responso è variabile a seconda della “direzione” con cui si leggono gli esagrammi, e certe linee si chiamano esattamente mutanti ... Forse per affrontare le opere di Renato Jaime Morganti si potrebbe anche fare a meno di avere idea di cosa sia l’I Ching, e si potrebbe persino ignorare il fatto che la sovrapposizione di linee che li costituisce proviene dall’utilizzo quotidiano di quelle tre monete che danno un senso al caso, o quantomeno ci provano. Forse basterebbe sapere che nelle sue opere la matematica ha un versante spiccatamente lirico, che il sacro è inestricabilmente connesso alla geometria, che l’arcaico e il tecnologico sono polarità inscindibili: tre paradossi, diremmo oggi ché intendiamo questo sostantivo perlopiù nell’accezione di assurdità, illogicità, mentre nella sua origine greca designava qualcosa di sommamente logico. Una logica che contraddice la doxa, cioè l’opinione, anzi la percezione comune. È proprio nel paradosso che l’I Ching (libro dei Paradossi, oltre che dei Mutamenti, o forse meglio dei Mutamenti paradossali) incontra la cultura e le forme della Grecia arcaica alla quali sono dedicate le altre opere in mostra. Anche in questi lavori delle linee ripartiscono gli spazi, e sono linee tracciate ma paradossalmente non fissate, perché conservano la mutabilità propria della traccia. Così come tracce di senso erano quelle fornite dagli oracoli greci, i cui responsi erano scritti non proprio in esagrammi ma, guarda caso, in esametri.

Roberto Borghi




Pratiche di scultura introspettiva tra paesaggi di geometrie e codice binario

Dopo un percorso di studi internazionale tra Milano e Berlino (musica, architettura, arte), Morganti ha scelto di dedicarsi alla scultura. Nella sua opera la materia da plasmare è però lo spazio, tanto fisico quanto interiore; e la dimensione simbolica è protagonista, anche quando, come parte del processo creativo, l’artista sceglie di svuotarla di significato. Le opere presentate fanno parte di un ciclo basato sul Libro dei mutamenti, antico testo classico cinese. Nato a scopo divinatorio e conosciuto anche come I Ching, a partire dal XVIII secolo il Libro diventa fonte di ispirazione e oggetto di studio anche in Occidente per l’interesse che gli viene riconosciuto nell’ambito delle discipline più disparate, tra cui la matematica, la filosofia, la fisica e la psicoanalisi. Per questo progetto, per circa sei anni l’artista ha consultato il Libro dei mutamenti ottenendo quotidianamente un esagramma mediante una prassi codificata nei millenni: lancio di tre monetine, traduzione delle quattro possibili combinazioni generabili dalle loro facce in numeri, quindi nelle corrispondenti linee (continue o “fisse” e spezzate o “mutanti”) che a gruppi di sei andranno a costituire gli esagrammi, le unità portatrici di significato del Libro. L’antico testo è stato qui però utilizzato come strumento puramente maieutico, svuotato da ogni finalità divinatoria: l’attenzione si è concentrata sul valore numerico e sul corrispettivo esagramma ottenuto, che da oggetto portatore di significato oracolare è stato ridotto a puro segno grafico. Il rito quotidiano è così stato tradotto dall’artista in rigorosa e oggettiva applicazione di un metodo; l’azione dell’“interrogare” l’oracolo in metafora di un percorso di ricerca e dell’essenza stessa dell’indagare; la serie di numeri ottenuta, in linee che sulla superficie diventano paesaggio; la sequenza di esagrammi prodotta nei sei anni, in una sorta di codice visivo seminale – una tessitura in cui la trama è il caso e l’ordito la regola. I numeri e gli esagrammi hanno quindi preso corpo nelle opere sotto forma di rappresentazioni tridimensionali e bidimensionali; tra queste, i “Vasi”, set di sculture in rovere tagliate al laser, ricavate l’una nell’altra senza sfridi e assemblate con una pazientissima tecnica di incastro che ha previsto l’inserimento manuale di 2000 minuscoli pioli. Una parte del codice visivo seminale è stata applicata alla superficie dei vasi propagandosi all’interno – come un campo energetico – a generare una serie di pattern nei quali è possibile riconoscere, intuitivamente, l’inaspettato legame tra il Libro dei mutamenti e il sistema numerico binario: infatti, i simboli 0 e 1 di questo sistema, la base dell’odierno linguaggio dei computer, altro non sono che la traduzione del codice di linee continue e spezzate del Libro proposta all’Occidente dal filosofo matematico G. W. von Leibniz. Il codice visivo, trasformato in pattern geometrici, è poi alla base di “Tracce”, una stampa a getto d’inchiostro con cancellature a mano che rivelano un’architettura in negativo e un’installazione temporanea tracciata a gessetto e nastro adesivo sul pavimento della galleria che nell’interazione col pubblico progressivamente svanirà: entrambe, metafore della memoria dell’“erranza”, intesa come movimento dell’artista sia fisico che mentale, ricerca fine a se stessa e “intorno a”. Più vicina alla scultura tradizionale è invece “Mappa”, pietra litografica sulla quale il laser ha inciso i punti di inizio e fine di ogni singolo pattern e di congiunzione tra i diversi pattern, a sintetizzare l’intero percorso di “erranza”. La mostra presenta infine un lavoro giovanile di Morganti, “La tomba di Agamennone” (1998), declinato negli anni in una serie di sculture, installazioni e dittici fotografici. L’opera vuole riprodurre l’esperienza sensoriale che l’artista ha vissuto in occasione di una visita alla tomba di Agamennone a Micene. La particolare conformazione della tholos è all’origine di un effetto sonoro che amplifica e moltiplica l’eco dei passi. In un processo creativo sinestesico, l’effetto è stato tradotto in dodici fasci di luce generati da altrettanti proiettori disposti in cerchio; tali fasci, quando attraversati dal visitatore, ne proiettano l’ombra sulle pareti circostanti riproducendo visivamente il riverbero quasi prismatico dell’esperienza originale.

Sita Castelli